Ti sei mai chiesto cosa potrebbe pensare un viaggiatore proveniente da un altro pianeta mentre osserva i nostri castelli millenari? Come interpreterebbe le leggende, i fantasmi, le pietre che sembrano respirare memoria?
Questa è la storia di Zarnok, un marziano curioso, giunto nell’Oltrepò Pavese per esplorare ciò che sulla sua terra non esiste: ombre, silenzi densi di storia e castelli intrisi di emozioni umane.
Una cronaca gotica con il sorriso, un viaggio tra Zavattarello e Nazzano, dove nulla è come sembra e le leggende hanno ancora molto da dire. Ti va di seguirlo?
Dove le pietre raccontano
Sul mio pianeta, Marnis 7, tutto è trasparente: i palazzi, i pensieri, persino i sogni. Non esistono ombre, né antichi misteri. Forse è per questo che, quando la mia guida terrestre Giulia mi ha parlato di un tour tra i castelli dell’Oltrepò Pavese, ho sentito un fremito nelle antenne.
«Qui la pietra sussurra», mi ha detto.
«E a volte… risponde».
Non so se intendesse sul serio, ma ho caricato il cardio-spettrometro e sono partito. Destinazione: Castello Dal Verme di Zavattarello. Chissà cosa si cela davvero dietro quelle mura antiche?
Zavattarello: il castello che osserva
La strada si arrampica lenta tra i boschi, come se avesse rispetto per ciò che sta per rivelare. Il borgo di Zavattarello si stringe attorno alla sua fortezza come un abbraccio antico, quasi a volerla proteggere da occhi troppo curiosi. A ogni curva, la torre del Castello Dal Verme sbuca e poi si nasconde, come se stesse decidendo se concedermi il privilegio di essere vista.
Mi fermo un istante a respirare. L’aria è satura di castagni, muschio e… qualcosa che non riesco a definire. Un sentore sottile, sospeso. È forse attesa?
Attraverso il ponte levatoio con passo lento, quasi cerimoniale. Sfioro il portone in quercia, ruvido, vivo. Penso a tutte le mani che l’hanno toccato prima della mia: cavalieri, mercanti, assedianti… e ora, un marziano in missione.
All’interno, la pietra parla. Le sale affrescate raccontano frammenti di vita medievale come se fossero ancora sospesi nell’aria. Mi separo dal gruppo guidato dalle torce elettriche e seguo un corridoio laterale, attratto da qualcosa che non riesco a spiegare.
In fondo, una stanza vuota. Silenziosa. L’aria si fa più densa.
Un colpo di vento improvviso mi attraversa, quasi avesse una forma.
Il cardio-spettrometro vibra con insistenza: presenza non identificata.
Chiudo gli occhi. Il freddo porta con sé un odore antico di erbe officinali. Sussurro piano:
«Pace alla tua memoria, o presenza leggendaria di queste mura».
E mentre il respiro si fa più profondo, percepisco qualcosa che non è solo suggestione.
Il Castello Dal Verme non è solo un baluardo della storia. È anche uno dei luoghi più misteriosi dell’Oltrepò Pavese, teatro di eventi inspiegabili che hanno attirato studiosi e appassionati del paranormale.
Si racconta di campi magnetici anomali, di porte che si aprono senza che nessuno le tocchi, di voci maschili nel vuoto che spezzano il silenzio con sussurri indecifrabili. Tutti segnali che la leggenda attribuisce a una figura precisa: Pietro Dal Verme, signore del castello nel XV secolo.
Secondo la tradizione, Pietro fu avvelenato dalla sua seconda moglie, Chiara Sforza, il 17 ottobre 1485. Da allora, si dice che il suo spirito inquieto percorra ancora le sale del maniero, in cerca di giustizia o forse solo di ascolto.
Il vento si placa, come se la mia presenza fosse stata riconosciuta.
Coincidenza? O forse è così che i castelli dicono “grazie”?
Esco sulla terrazza, lasciando dietro di me l’eco di quel momento.
Davanti, le colline dell’Oltrepò si distendono come un mare verde-oro sotto l’ultimo sole. I tetti di Zavattarello brillano nel tramonto come rame liquido.
E io, Zarnok, viaggiatore delle stelle, comprendo qualcosa di nuovo: questa fortezza non serviva solo a difendere, ma a guardare lontano, ad abbracciare il mondo e custodirne i segreti.
Hai mai provato la sensazione che un luogo ti stesse osservando?
Forse, in posti come questi, non siamo noi a guardare i castelli… ma loro a guardare dentro di noi.
Nebbie e leggende verso Nazzano
Lascio alle mie spalle il Castello Dal Verme, ma qualcosa resta con me. Non solo i dati raccolti o le vibrazioni del cardio-spettrometro, ma una sensazione più sottile, come se le pietre avessero lasciato un’impronta sulla mia tuta… o nel mio spirito.
Scivolo lungo la SP207 in direzione Nazzano. Il paesaggio si apre in una sinfonia di colline morbide, vigneti ordinati come costellazioni, cascine che sembrano galleggiare nella luce del tardo pomeriggio.
La Valle Staffora si distende sotto di me, e ha qualcosa di antico e gentile, come una voce che canta piano, senza bisogno di parole.
Respiro profondamente. L’aria ha il sapore dell’uva, della terra bagnata, del legno umido dei tini. Eppure… c’è anche un brivido.
La strada si addentra tra sali scendi e ombre mentre la nebbia serale si alza lenta, avvolgente, come un velo galattico che trasforma tutto in sogno. Le curve sembrano disegnate per chi cerca, non per chi fugge. Io non ho fretta.
Mi sorprendo a pensare che, se fossi umano, questa sarebbe la parte in cui il cuore accelera per nostalgia di qualcosa che non si è mai vissuto, ma che si riconosce lo stesso.
Poi, un pensiero interrompe la quiete: si racconta che tra le mura del castello di Nazzano si aggiri una dama bianca, eternamente alla ricerca del suo anello nuziale perduto.
Non lo ammetterei mai davanti al Consiglio Galattico, ma un pizzico di timore lo provo anch’io.
Ho infilato in tasca un anello di deflessione quantica.
Una precauzione? Forse.
O forse è il mio modo per rispettare le leggende. Perché in certi luoghi dell’Oltrepò, scienza e magia smettono di opporsi… e cominciano a somigliarsi.
E tu, lettore terrestre… hai mai sentito il richiamo di un luogo che sembra sussurrarti all’anima?
Continua a seguirmi. Il viaggio è appena cominciato, e tra castelli, nebbie e memorie sospese, l’Oltrepò ha ancora molto da raccontare.
Il custode delle storie
Dopo aver superato Godiasco e sfiorato le luci di Rivanazzano Terme, la strada comincia a salire. L’aria si fa più sottile, la luce più soffusa. Davanti a me, Nazzano: un pugno di pietra arroccato in un luogo denso di silenzi che domina un paesaggio incantevole
Il Castello di Nazzano emerge come un ricordo improvviso. Busso. Mi apre Lorenzo, giovane uomo con occhi che brillano come stelle.
«Benvenuto, Zarnok. Vieni per ascoltare i custodi invisibili?»
Annuisco. Più che mai, sì.
Mi accompagna tra spade e oggetti del tempo che fu. Ma è nella camera della dama che il tempo si spezza. Lorenzo racconta di una giovane nobildonna tradita, un anello gettato in un pozzo, una presenza che ancora vaga. Spegne la luce. Tre colpi secchi risuonano nel buio.
«È lei che saluta», sussurra.
Il mio cardio-spettrometro registra una lieve oscillazione. Realtà? Suggestione? Non importa. Qui tutto può accadere.
Più tardi, nella corte interna, un falò, vino e racconti. I terrestri parlano di cavalieri senza testa, io dell’aurora di cristalli sul mio pianeta.
E per un attimo, l’universo ci sembra più vicino. Forse non siamo poi così lontani, se possiamo condividere la stessa meraviglia.
Quando il sole sorge tra le pietre
Dormo poche ore, come sempre quando la mente è piena di meraviglia.
All’alba l’aria è fresca, immobile. Il sole filtra tra le colline, tingendo la nebbia d’oro e trasformando i le colline della Valle Staffora in un mare silenzioso che ondeggia piano.
Sotto i miei piedi, sento il cuore del castello: non batte più per difendere, ma per custodire. Custodisce voci, leggende, speranze, e quell’antico bisogno umano di tramandare ciò che si ama. E io, viaggiatore di mondi lontani, capisco che qui, tra pietre e ricordi, esiste qualcosa che neanche la tecnologia può spiegare: l’appartenenza.
Ho attraversato solo una manciata di chilometri terrestri, ma ho esplorato secoli di emozioni. Ho scoperto che i castelli dell’Oltrepò non sono solo architettura: sono archivi vivi di memoria, capaci di accogliere anche chi viene da molto, molto lontano.
E mentre osservo il paesaggio distendersi in silenzio, mi sorprendo a pensare che gli umani hanno un dono speciale: sanno rendere eterna la bellezza attraverso le storie.
E forse è proprio questo che rende unico il loro pianeta.
Riprendo la via del ritorno, ma qualcosa resterà con me: la voce della pietra, il respiro della valle, il calore di un falò condiviso.
Perché a volte, l’universo non si misura in anni luce.
Ma in racconti che sanno ancora far battere il cuore.
Il mio messaggio al Consiglio Galattico
La missione tra i castelli dell’Oltrepò – Zavattarello e Nazzano – è stata tutto fuorché ordinaria. Pensavo di raccogliere dati su architettura e folclore, invece ho trovato porte che si aprono da sole, leggende che sussurrano, e pietre che sembrano respirare emozioni.
A Zavattarello ho percepito silenzi che parlavano più di mille parole e a Nazzano… beh, diciamo solo che una dama bianca ha bussato tre volte mentre ascoltavo una leggenda. Il cardio-spettrometro ha registrato strane oscillazioni, e anche un lieve aumento di nostalgia.
Ho visto colline e sorseggiato Pinot Nero con del buon pane e salame di Varzi. Il tutto sotto le stelle mentre provo a raccontare la mia aurora marziana a umani incantati.
Conclusione? Missione riuscita. Emozione piena. E un dubbio personale: chi ha più spirito, gli umani… o i fantasmi?
Se vi state chiedendo se tornerò… bhè la risposta non può che essere positiva!
Anche se su Marnis 7 abbiamo tecnologia avanzata e cieli color ametista, non abbiamo castelli che raccontano storie…e sicuramente non abbiamo fantasmi così ospitali.