Un vino che racconta un territorio. Un Club che custodisce un’identità. E una storia che mescola leggenda, rigore e passione. Abbiamo incontrato il Presidente del Club del Buttafuoco Storico, Massimo Piovani, per farci raccontare come, da un’idea “fuori moda”, sia nato uno dei progetti più identitari e affascinanti dell’enologia lombarda. Ma cosa rende davvero speciale questo vino dal nome evocativo? Come si coniugano tradizione, tecnica e legame con la terra in una bottiglia di Buttafuoco Storico? E perché, ancora oggi, conquista chi lo scopre per la prima volta?

Le risposte a queste domande ci portano a scoprire un viaggio che dura da quasi trent’anni, tra vigne scomode, uve autoctone, leggende di marinai e un veliero infuocato. Un viaggio che vale la pena leggere fino in fondo.

Un Club nato da giovani visionari

Presidente Piovani, il Club del Buttafuoco Storico nasce nel 1996. Da dove è partita questa iniziativa?

“Da un’idea semplice, ma rivoluzionaria per quei tempi. Un gruppo di giovani produttori dell’Oltrepò Pavese ha deciso di dire no alla corsa verso l’intensività che stava svuotando la viticoltura della sua anima. L’obiettivo era recuperare un vecchio modo di intendere la produzione: partire dalla vigna, far ruotare tutto intorno ad essa. È da qui che nasce l’aggettivo storico. Non è solo un nome, ma una filosofia: significa tornare alla radice, lavorare in vigneti misti dove convivono le quattro uve che danno origine al Buttafuoco, tutte nella stessa parcella.”

Quali sono stati i traguardi più significativi raggiunti dal Club in questi anni?

“Prima di tutto, la salvaguardia dei versanti più scomodi, quelli che nessuno voleva più coltivare perché troppo difficili da lavorare. Oggi sono diventati il cuore pulsante del nostro progetto. Abbiamo mantenuto vivo un pezzo di territorio e di storia. E poi abbiamo dato dignità a un vino che, per struttura e qualità, non ha nulla da invidiare ai grandi nomi.”

Il territorio: il vero protagonista

Cosa rende questo territorio così speciale per produrre il Buttafuoco Storico?

“Tutto parte dalla geografia e dal sole. Il nostro disciplinare esclude categoricamente le esposizioni a nord o nord-est: solo i versanti che guardano a sud, sud-ovest e ovest possono ospitare i vigneti iscritti. Abbiamo una zona precisa, tra i torrenti Versa e Scuropasso, che coinvolge sette comuni tra Canneto Pavese e Stradella. Non è solo una questione amministrativa, ma geomorfologica: è lì che si esprime la vera identità del Buttafuoco Storico.”

Le quattro uve: armonia in vigna e in bottiglia

Il Buttafuoco Storico nasce da quattro uve autoctone. Come si bilanciano tra loro per dare vita a questo vino così complesso?

“La Croatina è la base, circa il 50%, poi il Barbera, tra il 20 e il 30%. Le restanti percentuali spettano all’Ughetta di Canneto – che regala note speziate, di pepe nero – e all’Uva Rara, che dona una bella componente floreale. Ma il punto è che non parliamo di percentuali nel vino, ma nella vigna. Le quattro varietà devono crescere insieme, nello stesso appezzamento. E questo vuol dire che, data la loro diversa epoca di maturazione e le variabili climatiche, ogni annata è unica e irripetibile. Il vigneto stesso detta la sua legge.”

Una comunità di produttori, tra confronto e identità condivisa

Qual è la composizione attuale del Club?

“Siamo 17 soci, con 20 vigneti iscritti. Ogni socio può avere più vigne, a patto che rispettino i criteri del disciplinare. Ci sono aziende piccole, anche a conduzione familiare, e realtà più strutturate. Ma ciò che ci unisce è l’obiettivo comune: il Buttafuoco Storico. Siamo concorrenti, certo, ma ci confrontiamo costantemente, ci scambiamo opinioni e degustiamo insieme le annate. Questo spirito di collaborazione è la nostra forza.”

Un veliero infuocato tra storia e leggenda

Il simbolo del Club è un veliero con le vele infuocate. Come nasce questa immagine così potente?

“È una storia affascinante, un intreccio tra leggenda e verità. Durante la seconda guerra d’indipendenza, nel 1859, un gruppo di marinai dell’esercito austro-ungarico fu inviato sul Po: il loro compito originario era semplicemente quello di trasportare viveri e armamenti lungo il fiume verso il fronte in battaglia. Tuttavia, vista l’urgenza e la carenza di uomini, furono chiamati a dar man forte ai soldati. Così scesero dalle chiatte e iniziarono a marciare verso Montebello, passando – e di fatto restandoci – attraverso le colline dello sperone di Stradella. Qui si imbatterono in botti di vino recanti la scritta ‘Buttafuoco’. Ne bevvero in abbondanza, si attardarono e furono ritrovati giorni dopo, ubriachi e inoffensivi. Tornati in patria, quell’episodio ispirò il nome di una nave da guerra, pesante e instabile proprio come quei marinai: la chiamarono Buttafuoco. Dopo la Prima Guerra Mondiale, questa nave giunse nel porto di Taranto, dove rimase ormeggiata fino agli anni ’50. Il suo nome è registrato negli albi della Marina italiana. Il nostro simbolo è lei: il veliero con le vele infuocate, che racconta lo spirito indomito e generoso di questo vino.”

Sguardo al futuro: tra accoglienza e crescita sostenibile

Come vede l’evoluzione del Buttafuoco Storico nei prossimi dieci anni?

“Non ci aspettiamo una crescita esplosiva: non siamo un prodotto di massa. Ma vediamo un interesse crescente, soprattutto da parte di chi cerca autenticità. Il Buttafuoco incuriosisce, sorprende, lascia il segno. E questo è un valore. Negli ultimi due anni abbiamo investito molto sull’accoglienza: la nuova sede con l’enoteca è un luogo dove incontrare, spiegare e far vivere il vino. Il prossimo passo è uscire dai confini: portare il Buttafuoco Storico a farsi conoscere in Italia e all’estero, senza mai snaturare la sua anima.”

Conclusione: il fuoco che non si spegne

Il Club del Buttafuoco Storico è più di un’associazione di produttori: è una comunità di custodi. Custodi di vigne antiche, di metodi rispettosi, di un’identità che non si piega alla logica del facile consumo. È il simbolo di un Oltrepò Pavese che non vuole dimenticare da dove viene, e che sceglie di raccontarlo una bottiglia alla volta. Con il veliero come emblema, e il fuoco – dentro e fuori dal calice – che continua a bruciare.

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